Gianfratimiso
2007-02-27 11:10:59 UTC
http://www.abitipuliti.org:8080/abitipuliti/azioni/FFI/story
In una serie di interviste raccolte a partire dal settembre 2005 dalle
organizzazioni sindacali e non governative locali, i lavoratori della Fibres
and Fabrics International Pvt. Ltd. (FFI) e della controllata Jeans Knit
Pvt. Ltd. (JKPL) di Bangalore, in India, hanno cominciato a sollevare il
velo sulle condizioni di lavoro disumane che si celano dietro i cancelli di
una delle più grandi e conosciute aziende di confezione di abbigliamento
della regione.
La FFI/JKPL opera dal 1992 principalmente nella produzione di jeans per il
mercato europeo e USA, e occupa nei suoi cinque stabilimenti di Bangalore
oltre 5 mila persone. Fra i suoi maggiori clienti i marchi olandesi G-Star e
Mexx; i marchi americani Ann Tayor, Tommy Hilfiger, Gap, Guess; e gli
italiani Armani e Ra-Re.
Le fasi di lavorazione dei jeans sono particolarmente dure e nocive: alla
FFI/JKPL i jeans non vengono solo tagliati e cuciti, ma anche stinti col
lavaggio, o macchiati, spazzolati, e adeguatamente "danneggiati" per
conferirgli l'aspetto vissuto molto in voga. I ritmi produttivi sono elevati
e mantenuti con sistematica violenza, al punto che negli ultimi tempi almeno
cento persone, nel solo reparto lavaggio, lasciano volontariamente il lavoro
ogni mese, incapaci di subire oltre percosse e maltrattamenti. La perdita
della dignità, avvertita come una condizione intollerabile, ha spinto i
lavoratori a venire allo scoperto e a cercare aiuto presso il sindacato e le
organizzazioni di base.
Alla FFI/JKPL il personale è ingaggiato senza lettera di assunzione, gli
straordinari non vengono pagati, chi non tiene il passo con i ritmi
produttivi sempre crescenti viene licenziato in tronco, le norme di
sicurezza non sono rispettate. Ma soprattutto ai lavoratori è vietato
organizzarsi per difendere i propri diritti e raccontare all'esterno ciò che
avviene nella fabbrica.
Il tentativo del Sindacato dei lavoratori del tessile-abbigliamento (Garment
and textile workers' union, GATWU) di incontrare la direzione della FFI/JKPL
va a vuoto e spinge le organizzazione di base a costituire un Comitato di
inchiesta (Fact-finding team) con lo scopo di accertare la veridicità delle
denunce fatte dai lavoratori e dare forza alle loro richieste. Un rapporto
sulle violazioni rilevate, steso dal Comitato fra l'aprile e l'agosto 2006,
viene inviato alla direzione della FFI/JKPL e alle imprese committenti
(leggi la sintesi del rapporto), alcune delle quali fanno svolgere delle
ispezioni da auditor esterni (senza per altro coinvolgere le organizzazioni
locali), che confermano nella sostanza gli abusi denunciati comprese le
molestie fisiche e verbali. Solo a questo punto, e dopo aver ricevuto
pressioni da parte di alcuni dei principali clienti e della Clean clothes
campaign, la direzione accetta, il 9 giugno e il 3 luglio 2006, di
incontrare il GATWU e le organizzazioni di base per discutere dei risultati
dell'indagine, senza però voler incontrare i lavoratori e negando le
contestazioni. Alla fine di luglio tutte le organizzazione indiane coinvolte
nel caso: Garment and textile workers' union (GATWU), Women garment workers
front (Munnade), Civil initiatives for development and peace (CIVIDEP), New
trade union initiative (NTUI) e la Clean clothes campaign Task force in
India sono raggiunte da un'ingiunzione del tribunale civile di Bangalore,
emessa su richiesta della direzione della FFI/JKPL, che vieta la diffusione
di informazioni sulle condizioni di lavoro all'interno della fabbrica con l'accusa
di diffamazione e danno di immagine. Il bavaglio imposto dal giudice, che
non è stato ancora revocato malgrado si siano già svolte un paio di udienze
a dicembre, ha di fatto interrotto il canale di comunicazione esistente fra
la campagna internazionale e le organizzazioni sindacali e non governative
locali, alle quali non è più possibile fornire notizie sugli sviluppi del
caso. Le iniziative pubbliche precedenti al blackout hanno avuto almeno il
risultato, secondo quanto accertato dal Comitato di inchiesta, di far
cessare i maltrattamenti e il furto degli straordinari, benché ancora tutto
o quasi resti da fare.
A fine novembre 2006 la Clean clothes campaign ha inoltrato un reclamo al
Social accountability international (SAI), l'organismo di certificazione che
presiede al sistema SA8000 sul rispetto dei diritti dei lavoratori, dopo
aver scoperto che quattro dei cinque stabilimenti della FFI/JKPL hanno
ricevuto la certificazione SA8000 mentre l'ultimo sta completando l'iter. La
contestazione mossa dalla CCC si basa sul fatto che le consultazioni con il
sindacato locale con le quali SAI afferma di voler concludere la fase
istruttoria sono seriamente compromesse dal provvedimento restrittivo della
libertà di informazione emesso dal tribunale, che costituisce un grave
impedimento all'instaurarsi di un dialogo costruttivo fra le parti dal quale
possa scaturire un piano correttivo efficace.
L'11 gennaio scorso il segretariato europeo della Clean clothes campaign e L'India
committee of the Netherlands hanno ricevuto dalla FFI/JKPL, attraverso uno
studio legale di Bangalore, l'intimazione a cancellare dal sito tutto il
materiale pubblicato sul caso sotto la minaccia di una causa legale per
diffamazione. La lettera, che non ha alcun valore legale, sta solo a
indicare la determinazione della FFI/JKPL di non confrontarsi con le
controparti locali per trovare una soluzione ai problemi denunciati dai
propri dipendenti, che per altro non hanno mai voluto incontrare. La CCC e l'ICN
hanno risposto proponendo una trattativa mediata da una terza parte e l'avvio
di un processo correttivo in collaborazione con il GATWU e le organizzazioni
locali.
- Ritiro da parte di FFI/JPKL della denuncia all'origine del
provvedimento restrittivo della libertà di informazione emesso dal tribunale
di Bangalore nei confronti delle organizzazioni di base locali.
- Impegno di FFI/JPKL a riprendere il dialogo interrotto con GATWU, NTUI
e Women garment workers front "Munnade" in rappresentanze delle
organizzazioni di base.
- Sviluppo e attuazione da parte di FFI/JPKL di un piano di interventi
correttivi in collaborazione con GATWU e gli altri partner locali sulla base
delle richieste già presentate alla società e alle imprese committenti.
- Coinvolgimento degli stakeholder locali nelle ispezioni effettuate da
terzi e in ogni altra iniziativa avente per obiettivo la risoluzione dei
problemi rilevati.
- Miglioramento delle procedure attraverso le quali sia possibile ai
lavoratori segnalare anonimamente situazioni di non rispetto delle normative
appoggiandosi a organizzazioni che godano della loro fiducia.
- Predisposizione di misure idonee affinché ai lavoratori sia consentito
esercitare il loro diritto alla libertà di associazione e alla
contrattazione collettiva.
La risposta delle imprese committenti
- G-Star: è il principale cliente di FFI/JPKL. L'azienda non ha mostrato
disponibilità al dialogo né a intraprendere iniziative concrete nei
confronti di FFI/JPKL. Gli incontri fra la CCC olandese, l'ICN, e l'azienda
non hanno avuto esiti concreti, per questo motivo la CCC e l'ICN hanno
presentato un ricorso al Punto di contatto nazionale dell'OCSE in Olanda
per violazione delle linee guida dell'OCSE sulle imprese multinazionali. Il
ricorso è stato accettato il 6 dicembre 2006.
- Mexx: ha dichiarato di volersi impegnare per arrivare a una trattativa
con le varie parti in causa finalizzata a definire misure correttive, e a
questo fine riconosce la necessità della revoca del provvedimento
restrittivo emesso dal tribunale di Bangalore. Nel contempo ha deciso di
aderire alla Fair wear foundation (iniziativa multistakeholder promossa
dalla Clean clothes campaign olandese).
- Ann Taylor: si è mantenuta fin dall'inizio in comunicazione con
FFI/JKPL per ricercare soluzioni correttive. Ha fatto svolgere due ispezioni
da due diversi enti di certificazione, con interviste ai lavoratori, ma non
ha ascoltato le organizzazioni locali. Ritiene che vi siano stati in seguito
dei tangibili miglioramenti alla FFI/JKPL, giudizio che sarebbe condiviso
dai lavoratori che sono stati intervistati. Non ha però preteso il ritiro
preventivo del provvedimento restrittivo del tribunale e non ha reso
pubblici i risultati delle ispezioni e le decisioni concordate, rendendo di
fatto impossibile valutare la qualità del suo intervento.
- Gap: ha collocato nuovi ordini alla FFI quando il provvedimento del
tribunale era già in vigore e con la campagna di pressione pubblica in atto.
Ha poi corretto il tiro, su richiesta della CCC, invitando la direzione
della FFI a ritirare la denuncia che ha costretto le organizzazioni locali
al silenzio, ma senza ottenere risultati.
- Tommy Hilfiger: non è più committente di FFI/JKPL ma lo era al tempo in
cui sono stati rilevati gli abusi. Ha scritto a FFI/JKPL contestando il
ricorso alle vie legali e dichiarando di non essere disponibile a eventuali
future collaborazioni in assenza di soluzioni concrete alle questioni
sollevate dalla CCC.
- Guess: dichiara di aver effettuato un ordine di prova e di non essere
un cliente abituale di FFI/JKPL. Non ha dato seguito all'impegno di
informare la CCC sui propri orientamenti in merito alle richieste avanzate.
Le aziende italiane ARMANI e RARE non hanno dato alcuna risposta alle
lettere inviate dalla Clean clothes campaign.
In una serie di interviste raccolte a partire dal settembre 2005 dalle
organizzazioni sindacali e non governative locali, i lavoratori della Fibres
and Fabrics International Pvt. Ltd. (FFI) e della controllata Jeans Knit
Pvt. Ltd. (JKPL) di Bangalore, in India, hanno cominciato a sollevare il
velo sulle condizioni di lavoro disumane che si celano dietro i cancelli di
una delle più grandi e conosciute aziende di confezione di abbigliamento
della regione.
La FFI/JKPL opera dal 1992 principalmente nella produzione di jeans per il
mercato europeo e USA, e occupa nei suoi cinque stabilimenti di Bangalore
oltre 5 mila persone. Fra i suoi maggiori clienti i marchi olandesi G-Star e
Mexx; i marchi americani Ann Tayor, Tommy Hilfiger, Gap, Guess; e gli
italiani Armani e Ra-Re.
Le fasi di lavorazione dei jeans sono particolarmente dure e nocive: alla
FFI/JKPL i jeans non vengono solo tagliati e cuciti, ma anche stinti col
lavaggio, o macchiati, spazzolati, e adeguatamente "danneggiati" per
conferirgli l'aspetto vissuto molto in voga. I ritmi produttivi sono elevati
e mantenuti con sistematica violenza, al punto che negli ultimi tempi almeno
cento persone, nel solo reparto lavaggio, lasciano volontariamente il lavoro
ogni mese, incapaci di subire oltre percosse e maltrattamenti. La perdita
della dignità, avvertita come una condizione intollerabile, ha spinto i
lavoratori a venire allo scoperto e a cercare aiuto presso il sindacato e le
organizzazioni di base.
Alla FFI/JKPL il personale è ingaggiato senza lettera di assunzione, gli
straordinari non vengono pagati, chi non tiene il passo con i ritmi
produttivi sempre crescenti viene licenziato in tronco, le norme di
sicurezza non sono rispettate. Ma soprattutto ai lavoratori è vietato
organizzarsi per difendere i propri diritti e raccontare all'esterno ciò che
avviene nella fabbrica.
Il tentativo del Sindacato dei lavoratori del tessile-abbigliamento (Garment
and textile workers' union, GATWU) di incontrare la direzione della FFI/JKPL
va a vuoto e spinge le organizzazione di base a costituire un Comitato di
inchiesta (Fact-finding team) con lo scopo di accertare la veridicità delle
denunce fatte dai lavoratori e dare forza alle loro richieste. Un rapporto
sulle violazioni rilevate, steso dal Comitato fra l'aprile e l'agosto 2006,
viene inviato alla direzione della FFI/JKPL e alle imprese committenti
(leggi la sintesi del rapporto), alcune delle quali fanno svolgere delle
ispezioni da auditor esterni (senza per altro coinvolgere le organizzazioni
locali), che confermano nella sostanza gli abusi denunciati comprese le
molestie fisiche e verbali. Solo a questo punto, e dopo aver ricevuto
pressioni da parte di alcuni dei principali clienti e della Clean clothes
campaign, la direzione accetta, il 9 giugno e il 3 luglio 2006, di
incontrare il GATWU e le organizzazioni di base per discutere dei risultati
dell'indagine, senza però voler incontrare i lavoratori e negando le
contestazioni. Alla fine di luglio tutte le organizzazione indiane coinvolte
nel caso: Garment and textile workers' union (GATWU), Women garment workers
front (Munnade), Civil initiatives for development and peace (CIVIDEP), New
trade union initiative (NTUI) e la Clean clothes campaign Task force in
India sono raggiunte da un'ingiunzione del tribunale civile di Bangalore,
emessa su richiesta della direzione della FFI/JKPL, che vieta la diffusione
di informazioni sulle condizioni di lavoro all'interno della fabbrica con l'accusa
di diffamazione e danno di immagine. Il bavaglio imposto dal giudice, che
non è stato ancora revocato malgrado si siano già svolte un paio di udienze
a dicembre, ha di fatto interrotto il canale di comunicazione esistente fra
la campagna internazionale e le organizzazioni sindacali e non governative
locali, alle quali non è più possibile fornire notizie sugli sviluppi del
caso. Le iniziative pubbliche precedenti al blackout hanno avuto almeno il
risultato, secondo quanto accertato dal Comitato di inchiesta, di far
cessare i maltrattamenti e il furto degli straordinari, benché ancora tutto
o quasi resti da fare.
A fine novembre 2006 la Clean clothes campaign ha inoltrato un reclamo al
Social accountability international (SAI), l'organismo di certificazione che
presiede al sistema SA8000 sul rispetto dei diritti dei lavoratori, dopo
aver scoperto che quattro dei cinque stabilimenti della FFI/JKPL hanno
ricevuto la certificazione SA8000 mentre l'ultimo sta completando l'iter. La
contestazione mossa dalla CCC si basa sul fatto che le consultazioni con il
sindacato locale con le quali SAI afferma di voler concludere la fase
istruttoria sono seriamente compromesse dal provvedimento restrittivo della
libertà di informazione emesso dal tribunale, che costituisce un grave
impedimento all'instaurarsi di un dialogo costruttivo fra le parti dal quale
possa scaturire un piano correttivo efficace.
L'11 gennaio scorso il segretariato europeo della Clean clothes campaign e L'India
committee of the Netherlands hanno ricevuto dalla FFI/JKPL, attraverso uno
studio legale di Bangalore, l'intimazione a cancellare dal sito tutto il
materiale pubblicato sul caso sotto la minaccia di una causa legale per
diffamazione. La lettera, che non ha alcun valore legale, sta solo a
indicare la determinazione della FFI/JKPL di non confrontarsi con le
controparti locali per trovare una soluzione ai problemi denunciati dai
propri dipendenti, che per altro non hanno mai voluto incontrare. La CCC e l'ICN
hanno risposto proponendo una trattativa mediata da una terza parte e l'avvio
di un processo correttivo in collaborazione con il GATWU e le organizzazioni
locali.
dettagli sul reclamo alla SAI e sulle questioni legali
Le richieste alle imprese committenti- Ritiro da parte di FFI/JPKL della denuncia all'origine del
provvedimento restrittivo della libertà di informazione emesso dal tribunale
di Bangalore nei confronti delle organizzazioni di base locali.
- Impegno di FFI/JPKL a riprendere il dialogo interrotto con GATWU, NTUI
e Women garment workers front "Munnade" in rappresentanze delle
organizzazioni di base.
- Sviluppo e attuazione da parte di FFI/JPKL di un piano di interventi
correttivi in collaborazione con GATWU e gli altri partner locali sulla base
delle richieste già presentate alla società e alle imprese committenti.
- Coinvolgimento degli stakeholder locali nelle ispezioni effettuate da
terzi e in ogni altra iniziativa avente per obiettivo la risoluzione dei
problemi rilevati.
- Miglioramento delle procedure attraverso le quali sia possibile ai
lavoratori segnalare anonimamente situazioni di non rispetto delle normative
appoggiandosi a organizzazioni che godano della loro fiducia.
- Predisposizione di misure idonee affinché ai lavoratori sia consentito
esercitare il loro diritto alla libertà di associazione e alla
contrattazione collettiva.
La risposta delle imprese committenti
- G-Star: è il principale cliente di FFI/JPKL. L'azienda non ha mostrato
disponibilità al dialogo né a intraprendere iniziative concrete nei
confronti di FFI/JPKL. Gli incontri fra la CCC olandese, l'ICN, e l'azienda
non hanno avuto esiti concreti, per questo motivo la CCC e l'ICN hanno
presentato un ricorso al Punto di contatto nazionale dell'OCSE in Olanda
per violazione delle linee guida dell'OCSE sulle imprese multinazionali. Il
ricorso è stato accettato il 6 dicembre 2006.
- Mexx: ha dichiarato di volersi impegnare per arrivare a una trattativa
con le varie parti in causa finalizzata a definire misure correttive, e a
questo fine riconosce la necessità della revoca del provvedimento
restrittivo emesso dal tribunale di Bangalore. Nel contempo ha deciso di
aderire alla Fair wear foundation (iniziativa multistakeholder promossa
dalla Clean clothes campaign olandese).
- Ann Taylor: si è mantenuta fin dall'inizio in comunicazione con
FFI/JKPL per ricercare soluzioni correttive. Ha fatto svolgere due ispezioni
da due diversi enti di certificazione, con interviste ai lavoratori, ma non
ha ascoltato le organizzazioni locali. Ritiene che vi siano stati in seguito
dei tangibili miglioramenti alla FFI/JKPL, giudizio che sarebbe condiviso
dai lavoratori che sono stati intervistati. Non ha però preteso il ritiro
preventivo del provvedimento restrittivo del tribunale e non ha reso
pubblici i risultati delle ispezioni e le decisioni concordate, rendendo di
fatto impossibile valutare la qualità del suo intervento.
- Gap: ha collocato nuovi ordini alla FFI quando il provvedimento del
tribunale era già in vigore e con la campagna di pressione pubblica in atto.
Ha poi corretto il tiro, su richiesta della CCC, invitando la direzione
della FFI a ritirare la denuncia che ha costretto le organizzazioni locali
al silenzio, ma senza ottenere risultati.
- Tommy Hilfiger: non è più committente di FFI/JKPL ma lo era al tempo in
cui sono stati rilevati gli abusi. Ha scritto a FFI/JKPL contestando il
ricorso alle vie legali e dichiarando di non essere disponibile a eventuali
future collaborazioni in assenza di soluzioni concrete alle questioni
sollevate dalla CCC.
- Guess: dichiara di aver effettuato un ordine di prova e di non essere
un cliente abituale di FFI/JKPL. Non ha dato seguito all'impegno di
informare la CCC sui propri orientamenti in merito alle richieste avanzate.
Le aziende italiane ARMANI e RARE non hanno dato alcuna risposta alle
lettere inviate dalla Clean clothes campaign.